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Diversity: the Cleveland Manoeuvre
Articolo del 7-7-2017 a cura di Gavrilovic Vuk
Gavrilovic Vuk

Ciao ragazzi,
approfitto della recente “discussione” e dell’attenzione che ha suscitato questo articolo (che vi invito a leggere) per parlare un po’ di questi temi e aiutare chi di voi avrà voglia di leggersi tutto il post a comprendere cosa è stato fatto, perché, e perché ha suscitato tante reazioni anche negative.
 
L’invito che faccio, prima di continuare a leggere, è quello di approcciare la questione come persone adulte: con curiosità intellettuale. Ponetevi in modo inquisitivo, chiedetevi “Perché hanno fatto questo?”, e rendetevi conto che spesso ci sono questioni che non sempre sono facili da comprendere, anche se all’apparenza gli eventi possono sembrare banali.
Questo è vero soprattutto per chi, come me, è un uomo. Non perché non siamo in grado di capire, ma semplicemente perché le nostre esperienze di vita sono molto diverse da quelle delle donne, su una serie infinita di piccole cose che impattano, volente o nolente, anche i tornei di Magic.
 
Esiste, in questa vicenda, un aspetto filosofico, un aspetto sociologico, e un aspetto puramente di “immagine”.
 
Andiamo con ordine.
 
Dal punto di vista filosofico, questi eventi hanno le loro radici nel movimento di liberazione femminile, aka femminismo. Senza dilungarmi troppo sulla storia del femminismo, quello che è importante capire è che non esiste IL femminismo, cioè non esiste UN femminismo. Esistono molti femminismi, che si manifestano in molte maniere e che spesso sono anche in contrasto tra di loro.
Attualmente, possiamo osservare che esiste una forte preponderanza delle ideologie, a volte anche un po’ estremiste, del mondo americano. Queste si manifestano un po’ su tutto il fronte dei diritti delle minoranze.
Per farla breve, queste contemporanee interpretazioni di “uguaglianza” vanno oltre anche i concetti di “pari opportunità” e “affirmative action”, e addirittura esasperano le differenze esistenti, volendole rimarcare.
I motivi per cui questo accade sono molteplici, ma in sostanza dal voler solo lottare per l’uguaglianza si è anche passati a voler affermare la propria identità, costruendola intorno a questa caratteristica che rende “diversi”.
Per fare un esempio concreto: https://www.nytimes.com/2017/06/02/us/black-commencement-harvard.html
In molti college americani si tengono cerimonie separate per neri e bianchi. Non per segregazione razziale, ma per “celebrare” la diversità.
È mia opinione personale, e di molta parte del movimento per i diritti delle minoranze, che questo approccio sia ghettizzante e del tutto inopportuno e contrario ai principi di integrazione e uguaglianza.
 
In parte, quello che è accaduto al GP Cleveland è un prodotto di questa ideologia. Si è voluto creare un team di sole donne, appunto, per rimarcare il fatto che le donne sono ugualmente capaci e brave, e creare per loro un team che fosse uno “safe space” nel quale potevano lavorare liberamente senza essere condizionate dagli aspetti sociali che comporta l’interazione con gli uomini.
 
E questo ci porta al secondo punto. L’aspetto sociale, o sociologico per alcuni versi, della vicenda è proprio questo che accennavo. Come potete facilmente capire da alcuni commenti avuti in merito all’articolo, le esperienze di vita delle donne e degli uomini sono fondamentalmente diverse.
Senza addentrarmi troppo negli studi di genere, possiamo solo dire che alcune differenze vengono fuori soprattutto in contesti simili a quelli in cui opera il judge di un GP: si lavora in team, bisogna essere assertivi e bisogna dimostrare leadership.
Alle donne, tendenzialmente, viene ripetuto per tutta una vita che devono parlare piano, essere femminili, vestirsi in un certo modo, essere gentili, ecc ecc. Agli uomini, in media, viene insegnato che devono essere “veri uomini”, che non va bene mostrare le emozioni, che bisogna sapersi imporre. Per queste ragioni, le dinamiche con cui si affrontano alcune situazioni, e soprattutto con cui si interagisce con il sesso opposto, a volte, possono creare delle difficoltà per le donne.
Non perché le nostre colleghe judgesse siano meno capaci di noi, né perché noi uomini siamo sessisti. Semplicemente perché siamo “programmati” sin dalla nascita ad assumere determinati comportamenti.
Pertanto, un uomo che si dimostra dominante e assertivo sarà visto più spesso come un “leader nato”, mentre una donna avrà la nomea di “bulletta” o “stronza” o una che “ha il ciclo”.
Senza voler entrare nel merito del perché questo avviene o se sia giusto, bisogna notare come, a volte, questo tende a mettere in posizione di svantaggio le donne. Le nostre colleghe, mediamente, vengono interrotte più spesso, non prese sul serio dai giocatori, sovrastate dai colleghi maschi particolarmente carismatici, o addirittura, in casi estremi “bullizzate” in quanto donne e ritenute meno capaci. Capita anche che alcuni comportamenti “galanti”, come tenere una porta aperta, possano essere interpretati in maniera diversa da come lo intende un uomo. Il tutto perché abbiamo delle percezioni diverse ed esperienze di vita diverse.
 
Queste dinamiche qui brevemente descritte sono, in buona sostanza, il motivo per cui le judgesse del GP Cleveland hanno desiderato far parte di un team tutto al femminile. Per avere quindi l’opportunità di dedicarsi al loro hobby preferito senza “interferenze” da parte della controparte maschile.
Non voglio qui entrare nel merito dell’opportunità di fare una cosa simile, né voglio suggerire metodi alternativi di affrontare la disparità di genere. Quello che voglio ottenere è di farvi comprendere il PERCHÉ questa cosa è stata accettata dalle dirette interessate.
 
In fondo, si è anche trattato di una specie di esperimento sociale. Hanno provato, per una volta, a fare una cosa nuova che, a quanto pare, è stata apprezzata dalle persone interessate.
 
Un altro motivo per cui è stata fatta, e qui mi permetto di sbilanciarmi, è per una questione di “immagine”. Come accennavo all’inizio, è anche una questione di moda attuale del movimento femminista americano se questo genere di iniziative vengono poste in essere. E quindi, per stare al passo con la moda e fare in modo che se ne parli, è stata un’iniziativa applicata anche al contesto Magic. Filosoficamente questa iniziativa è probabilmente inopportuna, ma da un altro lato ha suscitato molto interesse e moltissime reazioni - in fondo è quello che si voleva ottenere: visibilità delle questioni e discussione su questi temi. Da questo punto di vista, sicuramente, è stato un pieno successo.
 
Dopo aver analizzato questo episodio in particolare, parliamo ora di Diversity & Inclusion, un aspetto dell’arbitraggio che ho l’onere/onore di seguire da vicino da diverso tempo ormai e che ho avuto modo di studiare a fondo. Mi permetto quindi qui di esprimere anche qualche parere più personale in merito alla vicenda.
Si tratta di un’iniziativa di D&I? Probabilmente sì, dato che affronta e riguarda i temi di questa sfera. Tuttavia, non credo sia un’iniziativa che possa portare beneficio agli obiettivi che si vogliono raggiungere quando si parla di Diversity.
L’obiettivo ultimo dovrebbe essere quello di includere e abbracciare tutti nonostante le nostre differenze. Sì può celebrare la diversità, ma facendo in modo che non esistano barriere d’entrata per chi, in qualche modo, si sente “diverso” o “minoranza”, in modo che tutti si sentano parte dello stesso gruppo, inclusi ed integrati nonostante le differenze individuali.
Questo, a mio parere lo si ottiene con l’educazione, con l’inclusione e con il coinvolgimento. Non escludendo, antagonizzando, e ghettizzando.
 
Inoltre, una cosa importante, è che questo genere di iniziative devono essere portate avanti non in maniera improvvisata, ma come parte di una strategia più ampia, che abbia degli obiettivi ben definiti. Il Judge Program, al momento, non ha nessuna strategia del genere, e questa iniziativa del GP Cleveland è un’iniziativa spontanea e che, in tutta onestà, spero rimanga isolata o sporadica.
Dal mio punto di vista, se vogliamo osservarla sotto l’ottica di Diversity, è un’iniziativa filosoficamente sbagliata, e che non porta a risultati buoni. Serve, come è servita, soltanto a rimarcare le differenze e a ghettizzare chi invece si vorrebbe includere il più possibile.
L’unico beneficio che ha avuto, se vogliamo, e che oggi stiamo qui a parlare di Diversity, del modo corretto di farla, e che ha dato una certa visibilità alle judgesse, una cosa sicuramente positiva.
Non ho nulla in contrario, per esempio, a un team tutto femminile laddove esso si formi spontaneamente, magari perché 5 judgesse amiche hanno chiesto tutte di stare insieme per poter stare più tempo insieme (come non mi creerebbe, personalmente, nessun problema un gruppo di altri 5 individui, di qualsiasi sesso o colore, che faccia la stessa cosa).
 
Spero d’aver chiarito qualche dubbio o avervi dato del materiale su cui pensare, anche se le cose da dire sono molte e non è facile trovare un equilibrio tra completezza e sintesi.
Per chi vorrà, sono ben disponibile a parlare di questa vicenda, di quanto espresso, o di Diversity in generale, a patto che si affronti la questione come adulti: con genuina curiosità intellettuale, con apertura mentale e con la consapevolezza che le esperienze di vita di persone diverse possono differire molto. Vorrei evitare il “tifo da stadio” che ho visto in molti commenti in questi giorni e discussioni con persone che pretendono di possedere la verità in tasca.
 
Se qualche punto non vi è chiaro o non lo condividete, sentitevi liberi di chiedermi di elaborare o di chiarire. E tenete sempre in mente che si può anche non essere d’accordo senza per questo volersi male per forza.
 
Grazie per l’interesse. A buon rendere.